di Maria Maddalena Nappi
in In Dialogo. Mensile della Chiesa di Nola, anno XXIX, n. 2, febbraio 2014, pp. 24-25
Accolgo
volentieri l’invito della Curia di Nola a pubblicare alcuni appunti di studio
su una chiesa dedicata a san Felice, nel luogo che a Palma ne ricorda la presenza
nel toponimo San Felice. La ricerca è ancora in nuce, perché essendosi perduta
la testimonianza archeologica della chiesa, siamo risaliti alla sua esistenza attraverso
documenti d’archivio. La relazione, che qui segue, si raccorda alle indagini sulla domus ecclesiae della
cappella del duomo di Nola, condotte dalla dott.ssa Antonia Solpietro e
dall’archeologo Nicola Castaldo ed agli studi sulle passiones di San Felice da parte del prof. Edoardo D’angelo del
Suor Orsola Benincasa, che riferisce di una passio,
dove si indica Palma, come luogo del martirio.
Nel 2001-2002, nell’annuario del Liceo Classico
Antonio Rosmini fu pubblicato dalla scrivente, in un saggio sulle edicole
votive di Palma, un breve riferimento all’affresco di san Felice, nell’incrocio, sviluppatosi
urbanisticamente nel XVIII secolo, che prende il nome dal santo. Il dipinto è racchiuso in un cartiglio ovale
in stucco, protetto da un vetro, e raffigura
San Felice, secondo l’iconografia più attestata sul territorio, con la mitra e
il pastorale, simboli dell’autorità vescovile. È evidente che la
rappresentazione iconografica del santo nell’incrocio detto San Felice è legata
alla città di Nola e al suo vescovo, data la collocazione dell’edicola lungo la
strada che prosegue verso quella città, che nella crisi dell’impero romano fu
una delle prime sedi dell’autorità vescovile. L’edicola è collocata sullo spigolo dell’edificio, che
si innalza tra via San Felice e via Nola, con ogni probabilità in sostituzione
di una croce di legno, che nel Settecento era stata eretta a cura dell’Università
di Palma, nel luogo detto San Felice.
Dai conti dell’Università di Palma del 1745, infatti, si viene a sapere che gli
eletti di Palma erogarono un ducato per un
trave servito per la croce di san Felice, un carlino e cinque grana furono pagati a Gioachino della Nunziata e
Martino Preziuso per aver posto la croce nel luogo detto S. Felice e
fabricatori. A conclusione del lavoro furono erogati tre ducati a Francesco
di Manzi. Le spese complessive ammontavano a una cifra ragguardevole, così da
far supporre che la croce doveva essere di grande dimensione o particolarmente
decorata. In seguito a successive
ricerche deduciamo che la croce fu innalzata a spese dell’Università in memoria della
sacralità del luogo, dove fino al Seicento erano visibili i resti di un’antica
chiesa dedicata al santo. Nella santa visita del 1586, tra i beni immobili
della chiesa di san Michele, sotto il titolo, Santo felici grancia, leggiamo: Item
una terra pastinata et vitata de vite latine dove se dice a santo felice iusta
la via publica da due parte, li beni de francisco di mauro, li beni di Salvator
prevete, li beni de la herede del quondam giò:Angelo de Cunzo et altri confini
quale se possedeva per quelli de casa coppola fu litigato per me predetto che
sta in demanio della ecclesia et in detta terra sta edificata una cappella sotto il vocabulo di santo felici antiquissima. Nella visita precedente del
22 maggio del 1571, non si faceva riferimento alla grancia di san Felice, ma
nel corso delle registrazione dei beni immobili, si legge in una nota a margine
la seguente dicitura: dicta parrochialis
ecclesia habet annexas simplices et rurales ecclesias sitas in loco campestri
Ecclesiam Sancti Arcangeli veteris, ecclesiam Sancti felicis, ecclesiam Sancti
Leonardi, Ecclesiam Sancti Mielis et ecclesiam Sancti Arcangeli a Stella, fuit
promissum quod predictae ecclesiae preter ecclesiam Sancti Arcangeli a Stella
profanentur et diruantur erecta in quolibet loco cruce in signum et ita fuit
mandatum predicto rectori quod exequatur. Quindi, nella Terra di Palma
sussisteva una chiesa antichissima intitolata al Vescovo di Nola, in seguito
venerato come santo, che alla fine del Cinquecento era in rovina, tanto che dal
1571 era ingiunto al rettore della chiesa di San Michele Arcangelo di interdirla al culto, insieme ad altre chiese dirute, ma di segnare il luogo con una croce, che per
questo motivo continuava ad essere eretta nel 1745. In seguito il territorio divenne proprietà della chiesa di san Michele Arcangelo, come è confermato dalle visite successive
senza che si nomini più la grancia. Nella santa visita del 1620 è enumerato un pezzo di terra arbustata et vitata de
vite greche sita dove se dice a Santo felici appresso la detta chiesa diruta
quale confina con la via publica Jaconantonio perrozzino et si possede per
detta ecclesia quale sta affittata ad
Angelo de Lauri per carlini trenta cinque l’anno come appare per obliganza nelli atti della corte di
detta terra di Palma, fittata al misi
di febbraio prossimo passato 1620. È legittimo a questo punto chiedersi a quale
periodo risalga la fondazione della
chiesa. Al momento possiamo solo avanzare delle ipotesi, in attesa di ulteriori
indagini d’archivio ed archeologiche. Di certo la chiesa non è censita nelle Rationes Decimarum Italiae
del 1308-1310 e del 1324, cosicché se ne deduce che la chiesa molto antica o all’epoca
era già in rovina, oppure non era tenuta al pagamento delle decime, perché annessa alla chiesa parrocchiale di San Michele.
L’erezione della chiesa lungo la via Popilia per Nola è da collegare all’opera
di evangelizzazione del vescovo Felice, che nelle sue peregrinazioni raggiungeva
la comunità di ad Teglanum, dove nel
I secolo d. C. si sviluppava un nucleo abitativo
romano, che successivamente con il declino dell’impero e l’avanzare degli
eserciti barbarici si arroccò sulle colline.
E forse proprio nel luogo in cui il vescovo martire incontrava gli abitanti di ad Teglanum, per divulgare il verbo
cristiano, dopo il suo martirio e la diffusione della sua santità fu eretta una
chiesa. La presenza presso ad Teglanum
di una comunità cristiana è testimoniata
dal rinvenimento di lucerne con il simbolo della palmetta nello scavo della
necropoli tardo-imperiale in località Jerola, ai piedi della collina di Vico.
Inoltre, sono attestati a Palma elementi architettonici di culto altomedievali,
come le iconostasi rinvenute in località Pozzoromolo, ora esposte al Museo
Archeologico di Nola. E forse rimandano all’Alto Medioevo le chiese che
scomparvero alla fine del ’500, tra
queste, accanto alla chiesa dedicata al Vescovo di Nola, le sante visite riferiscono le chiese di santa
Margherita, di santo Miele (sic), di san Leonardo, di san Nicola, che erano
ubicate nella zona collinare di Castello, e la chiesa di santa Felicita, in antro constructa, annessa al Monastero della Santissima Trinità
della città di Cava, riportata nelle sante visite del 1586 e del 1606. In
particolare, nella visita del 1606, il vescovo Gallo ribadiva la costruzione
della cappella di santa Felicita, in
sostituzione di quella più antica costruita in una grotta ormai diruta. La
grotta era situata sulla collina alle spalle del palazzo aragonese e forse è da
rimandare al periodo longobardo, dal
momento che il culto di santa Felicita è
relativo alla martire nativa di Alife, secondo il martirologio beneventano del
IX secolo, martirizzata a Roma al tempo dell’imperatore Antonino Pio. A tal proposito è interessante riferire anche
di un ritrovamento casuale avvenuto negli anni Sessanta, nel cortile del
palazzo Cervo-Allocca. Nel cellaro addossato alla collina, sotto un primo strato
di intonaco fu rinvenuto un mosaico di modesta fattura che riproduceva al di
sotto di una croce, che si ergeva su tre monti (simbolo virginiano), in un
riquadro di forma rettangolare a tessere di mosaico l’anagramma cristiano ictùs, con l’omissione della ipsilon. Il
termine greco potrebbe richiamare le comunità cristiane dell’età imperiale, ma riferirsi anche alla presenza dei monaci
basiliani. La fattura alquanto mediocre dimostra che l’epigrafe riproduceva forse
in modo maldestro un originale mosaico ritrovato sul posto al momento della
costruzione dell’edificio; in seguito, perdutasi la memoria del ritrovamento, il
mosaico fu occultato sotto un nuovo strato di intonaco. Tuttavia, il mosaico con l’iscrizione potrebbe
essere un ulteriore elemento a conferma che lungo la dorsale della collina
nelle cavità naturali si svilupparono a partire dall’Alto Medioevo luoghi di culto, ancora attivi fino all’inizio
del Seicento, come la grotta dietro al palazzo, intitolata a santa Felicita. In seguito, gli eventi tellurici e le alluvioni, che hanno segnato
ciclicamente la nostra terra, un po’ alla volta, ne hanno cancellato le tracce,
ma non la memoria, come testimoniano, per l’antica chiesa di san Felice, i beni
di san Michele Arcangelo, che per le numerose proprietà pertinenti all’antica grancia del santo Vescovo di
Nola, ancora nel 1857, riportava la formula nel
luogo detto San Felice, e come ribadisce a distanza di secoli l’edicola con il Santo nell’attuale incrocio
detto San Felice.
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A tal proposito rimando al testo di Paolo Campanelli Introduzione allo studio delle fasi
evolutive di una Ecclesia di Cristiani Primitivi nell’Ager Vesuvianus e all’interpretazione,
alquanto audace sebbene affascinante, avanzata dallo studioso circa la presenza
delle prime comunità cristiane della Campania. Il Campanelli sostiene che la
Tabula Peuntigeriana riporti le sedi delle domus ecclesiae del I sec. d. C.. e segnerebbe il percorso compiuto da Paolo di Tarso nella sua opera di
evangelizzazione. Lungo la via Popilia, l’apostolo avrebbe incontrato nella
comunità di ad Teglanum il sacerdote Felix di Nola e l’avrebbe consacrato
vescovo.
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