di Maria Maddalena Nappi
Premessa
La seconda metà del Settecento costituisce il periodo nel quale si gettano le basi del mondo contemporaneo, grazie alla diffusione del movimento illuministico che penetra in tutti i campi dell’attività intellettuale, influenza la vita politica, incide sui comportamenti culturali e sul costume. Gli illuministi valorizzano al massimo la ragione e, guidati dai lumi della ragione, affrontano ogni problema, rifiutando tutto ciò che nella realtà storica è fondato su tradizioni, superstizioni, autorità e privilegi. Gli illuministi non si limitano a contestare le istituzioni e i valori dell’ancien régime, ma propongono anche un nuovo tipo, un nuovo modello di uomo, che si caratterizza per la costante laboriosità, intraprendenza, abitudine a contare sulle proprie forze e sul proprio lavoro. Le idee illuministiche coincidono con le aspirazioni della classe borghese che specialmente in Francia ha raggiunto un notevole potere economico, ma non partecipa alla gestione dello Stato, dal momento che solo la nobiltà e il clero detengono cariche pubbliche e privilegi. E proprio in Francia il connubio tra il movimento illuministico e le aspirazioni della classe borghese emergente daranno vita alla Rivoluzione.
Presa della Bastiglia di Jean-Pierre Houël |
Alla fine le istanze di libertà e di uguaglianza della Rivoluzione furono tradite con il colpo di Stato del 18 brumaio del 1799 di Napoleone che fonderà uno stato autoritario ed accentratore.
Diffusione in Europa delle idee rivoluzionarie e nascita delle repubbliche italiane
Il successo della Rivoluzione francese suscitò grandi entusiasmi, ma altrettante ostilità in tutta l’Europa. Le monarchie europee tentarono di reprimere la diffusione delle nuove idee, adottando una politica di inasprimento dell’assolutismo, abolendo le concessioni riformatrici e accentuando il regime poliziesco. Al contrario la borghesia europea, nutritasi delle grandi idee di libertà e di progresso illuministiche, guardava con entusiasmo all’esperienza francese e attendeva da essa un aiuto per combattere i regimi autoritari che impedivano lo sviluppo politico economico e civile del proprio paese.
Anche in Italia gli intellettuali e i borghesi riformisti accolsero con entusiasmo le idee rivoluzionarie che accompagnavano l’avanzata dell’armata napoleonica e partecipavano attivamente alle repubbliche create da Napoleone, le cosiddette repubbliche sorelle. Nasceva così la Repubblica cispadana e la Repubblica transpadana in Lombardia, poi la Repubblica ligure, che pose fine al vecchio regime oligarchico. Anche la Repubblica di Venezia cedette all’avanzata napoleonica e il 12 maggio 1797 il Maggior Consiglio abdicava e il 16 maggio si insediavano i nuovi rappresentanti della municipalità, analoga a quella che si erano costituite a Padova e a Vicenza.
Napoleone Bonaparte presenta il Trattato di Campofomio- 1838, incisione su acciaio di Denis Auguste Marie Raffet |
Le repubbliche si dotarono subito di una Costituzione, che redassero in alcuni casi sul modello francese dell’anno III, in altri i patrioti fecero inserire degli articoli ispirati alla Costituzione francese del 1793 e disposizioni proposte per aspirazioni locali. Non dobbiamo dimenticare che per tutto il XVIII secolo l’Italia era stata percorsa da dibattiti sul diritto pubblico e sulle costituzioni. E il granduca Leopoldo di Toscana su indicazioni di insigni giuristi stava per promulgare una costituzione moderna se non fosse intervenuto il veto dell’Austria. Alcune costituzioni furono sottoposte al referendum popolare e discusse in assemblee popolari largamente rappresentative e redatte da comitati di giuristi e di uomini politici. La costituzione romana fu redatta da commissari francesi, sullo stesso modello della Costituzione francese dell’anno III, quando a Roma fu proclamata la Repubblica, ad opera dei giacobini romani sostenuti dall’armata francese.
Tutte queste costituzioni proclamavano la libertà e l’uguaglianza dei diritti, abolivano il regime feudale e i diritti signorili, sopprimevano la nobiltà e i privilegi del clero, abolivano le corporazioni. La Costituzione napoletana sanciva una mutua assistenza tra i cittadini e i poveri ed in particolare dichiarava l’importanza dell’istruzione per tutti. Inoltre la repubblica napoletana prevedeva una corte costituzionale, l’assemblea degli efori, che aveva come incarico di esaminare l’osservanza della Costituzione. I giacobini italiani aspiravano all’unificazione delle varie repubbliche in una sola e alla costituzione di una medesima patria repubblicana, suscitando i sospetti del Direttorio, che cercava di annullare la loro influenza.
Saverio della Gatta - Abbattimento dell'albero della libertà a Largo di Palazzo |
Ma, il governo repubblicano, nonostante la presenza del fiore dell’intelligenza meridionale, come dirà Croce, ebbe breve durata. Alla partenza dei presìdi francesi, prima del generale Championnet e poi del suo successore Macdonald, il governo repubblicano si trovò abbandonato a se stesso, mentre le truppe, guidate dal cardinale Ruffo, avanzavano minacciosamente, risalendo dalla Calabria. Il 19 giugno l’esercito della Santa Fede entrava a Napoli e troncava le resistenze dei giacobini, assediati nella fortezza di Castel Sant’Elmo. Il 23 giugno fu sottoscritto un accordo dal cardinale Ruffo e i rappresentanti alleati, che garantiva la vita e l’onore delle armi ai giacobini napoletani, sia che volessero imbarcarsi per Tolone, sia che volessero rimanere a Napoli.
I patrioti napoletani, nonostante l’accordo stipulato con il cardinale Ruffo, che aveva promesso loro salva la vita, furono mandati a morte, per l’intervento determinante della regina Maria Carolina, moglie del re di Napoli Ferdinando IV di Borbone, e con il consenso di Nelson. E nel sangue versato in Piazza del Mercato si spegneva il sogno della Repubblica Napoletana.
Gli eventi a Palma del 1799
Ritratto di Vincenzo Russo |
A Palma, nel 1799, l’amministrazione comunale era retta dal Presidente Municipe Samuele Carrella e dai deputati Aniello Montanino, sacerdote D. Felice Caliendo, Giovanni Mascia e Michele Catalano, tutti vicini al Duca Giacomo Saluzzo di Corigliano, feudatario di Palma, coadiuvati dal Segretario Nicola Bosone, presidente della locale Corte Ducale.
L’attività di Vincenzo a sostegno dei nuovi principi di libertà e democrazia portarono ad un cambiamento significativo, con l’elezione il primo marzo del nuovo Cassiere Vincenzo Nunziata di Giulio, fratello minore del sacerdote Luigi Nunziata, che aveva seguito Vincenzo Russo nell’esperienza della Repubblica Romana e che, nel periodo della prima restaurazione, sarà condannato all’esilio a vita dai Borboni.
Successivamente, nell’assemblea popolare del 16 marzo, fu eletta la nuova municipalità, secondo le disposizioni del Governo Provvisorio, caratterizzata dalla presenza di numerosi rappresentanti del clero e dal ritorno come segretario di Pietro Russo, fratello primogenito di Vincenzo. Ai vertici di questa amministrazione si ritrovarono il presidente munìcipe, sacerdote Emiliano Ferraro e Vincenzo Nunziata di Giulio, munìcipe cassiere, sacerdote Felice Caliendo, Pietro Saviano, Angelo Cassese, Giovanni Manzi, sacerdote Andrea Normandia e sacerdote Domenico Alfano.
Come era consuetudine del nuovo ordine politico, fu eretto in Piazza Mercato l’albero della libertà con la partecipazione collettiva dei cittadini cui fecero seguito feste, banchetti e una solenne processione conclusasi con la celebrazione del Te Deum nella Parrocchia di S. Michele Arcangelo. Un altro albero della libertà fu eretto nella Piazza alli Ferrari ed un altro nel Quartiere di San Gennaro, nella piazza davanti al convento francescano.
Ma la situazione precipitò poco più di un mese dopo.
Tra il 20 ed il 23 aprile, scoppiò una sommossa popolare organizzata e guidata da persone vicine a Giacomo Saluzzo di Corigliano; fu distrutto l’albero della libertà, eretto in Piazza Mercato e quello in Piazza alli Ferrari, e furono assaliti e devastati diversi edifici pubblici. L’insurrezione però scatenò l’ira del governo centrale, che pretese dagli amministratori di Palma il pagamento immediato di una multa di seimila piastre.
Anche in molti altri Comuni2 dell’intera area nolana e nel Vallo di Lauro scoppiarono sommosse popolari contro le municipalità repubblicane, accompagnate dal suono delle campane a martello delle principali chiese, con assalti e saccheggi agli edifici pubblici e con l’abbattimento dell’albero della libertà, considerato il simbolo principale del nuovo corso politico.
La contemporaneità degli avvenimenti, sia nel Feudo di Lauro che nel Feudo di Palma, fece pensare ad un’azione promossa e coordinata da Scipione Lancellotti Principe di Lauro e da Giacomo Saluzzo di Corigliano Duca di Palma.
Il De Nicola, infatti, annota nel suo diario sulle vicende del 1799 che entrambi furono arrestati il 26 aprile nelle loro rispettive abitazioni di Napoli.
L’intervento di Vincenzo Russo presso le autorità francesi servì a ridurre l’entità della contribuzione forzosa intimata dai francesi ed a scongiurare la distruzione della città di Palma. Vincenzo Nunziata di Giulio, Cassiere della Municipalità, curò personalmente la ricostruzione degli alberi abbattuti sia in Piazza Mercato che in Piazza alli Ferrari, ma dopo pochi giorni la folla in tumulto li distrusse di nuovo.
La contribuzione forzosa ed il saccheggio del palazzo ducale avevano suscitato l’ira della popolazione.
Era il preludio della fine del breve governo repubblicano.
Il 29 maggio Samuele Carrella, alla testa di numerosi insorgenti, fece abbattere l’albero della libertà sia in Piazza Mercato che in Piazza alli Ferrari e fece approntare tre bandiere con lo stemma dei reali, per annunciare alla popolazione l’approssimarsi delle truppe del Cardinale Ruffo: la prima fu esposta in pubblica piazza, al posto dell’albero repubblicano, e festeggiata con notevole entusiasmo dal popolo e con lo sparo di mortaletti; la seconda fu portata nella città di Sarno dallo stesso Carrella; la terza da Matteo Mascia nella città di Nola.
Albero della Libertà - Stampa |
Diversi cittadini palmesi furono, infatti, impegnati in varie operazioni militari dall’assedio di Torre Annunziata, alla repressione di truppe di repubblicani nel territorio di Somma; ma anche al trasporto da Striano a Nola del fieno per la cavalleria dei Calabresi; altri, insieme a Nicola di Prisco, portarono a Napoli alcuni pezzi di artiglieria, utilizzati nell’assalto finale alla capitale.
Nel mese di luglio la Truppa a Massa, comandata dal Capitano Giovanni Mascia e dal suo agiutante Francesco Carrella alias Cicciotto, era acquartierata nella Real Villa di Portici, anche con il compito di arrestare i rei di stato.
Il 5 giugno passò per Palma, diretto a Caserta, il Colonnello Vito Nunziante con un reggimento di 400 soldati, accolto con entusiasmo dal popolo, dagli amministratori e dal clero che portò in processione il Santissimo Sacramento.
Il periodo di anarchia e di confusione non era finito ed all’inizio di agosto si verificarono diversi fenomeni di diserzione, favoriti anche dalla presenza nella zona di repubblicani ricercati. Il 31 agosto il Sergente Rafaele Bruno con dodici soldati a cavallo si portò a Palma per contrastare la presenza di giacobini e malviventi presenti sul territorio ed il 13 settembre è ancora presente, per lo stesso motivo, un altro drappello di cavalleria, guidato dal sergente dei fucilieri di montagna, Saverio Squillante. Il Commissario Generale della Campagna Michele de Curtis il 26 ottobre convocò tutti gli amministratori di Palma a Nola, preoccupato per la presenza nel territorio di diversi pubblici delinquenti.
Dopo la caduta della Repubblica in tutto il regno ebbe inizio la persecuzione realista nei confronti dei rivoluzionari e dei loro familiari ed anche i fratelli di Vincenzo Russo subirono dure condanne. Il fratello primogenito Pietro fu arrestato e trasferito nell’isola di S. Stefano, dove patì un carcere durissimo. Il fratello Gaetano, medico chirurgo nell’esercito repubblicano ed attivo patriota, fu arrestato il 9 settembre del 1799 e condotto nel carcere dei Granili al Ponte della Maddalena. Gaetano Russo fu giudicato dalla Giunta dei Generali e inviato nel carcere dei Granili. Il fratello Giuseppe, avvocato, subì la stessa sorte e tutti gli altri familiari, furono sottoposti all'ira della popolazione palmese, che ne assaltò e saccheggiò l’abitazione, ubicata alla sommità del vicoletto che oggi porta il suo nome.
Si ricorda che la madre Mariangela Visciano riuscì a fuggire ed a nascondersi, attraverso giardini privati, in un pollaio in località Casa Caliendo, senza riuscire ad evitare l'aggressione di inaudita violenza di alcune donne.
L’indulto reale, promulgato il 26 settembre 1801, e il successivo dispaccio reale del 4 giugno 1802, posero fine a questa fase caotica di repressione nei confronti dei rivoluzionari condannati e delle loro famiglie.
1. LUIGI SORRENTINO, Io muoio libero e per la Repubblica, ed. IGEI e G.A. Terra di Palma, Somma Ves.na, (NA), 1999.
2. ARIOSTO PRUDENZIANO, Il casale di Visciano e la rivoluzione del 1799, p. 26-29, ed. LER Napoli Roma, Marigliano, 1986.
© Diritti riservati. Riproduzione consentita previa citazione della fonte.
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